Lo Stato Islamico nel Mondo Digitale

molte grazie a Tamara Taher per la sua traduzione! leggere l’articolo originale in inglese qui.

Nelle discussioni più diffuse riguardo lo Stato Islamico, diverse tematiche hanno ricevuto una particolare attenzione. Questioni quali le esecuzioni attuate dal gruppo, il trattamento delle donne, le rendite dal petrolio, e le voci sul supporto da parte di alcuni stati hanno attirato molta attenzione. Non meno ne ha ottenuta la questione della loro propoganda digitale. E allo stesso modo, sono rilevanti le storie di coloro che dopo essersi uniti al gruppo, sono tornati. All’interno e nell’intreccio di tutte queste tematiche, si delinea un campo interessante da approfondire: come si relaziona Daesh, più ampiamente, con il mondo digitale. Il tema dovrebbe essere considerato di particolare rilievo, dato che sia Hillary Clinton che Donald Trump si sono pronunciati in maniera molto simile recentemente:
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Quest’autore, per esempio, trova ironico il fatto che due candidati presidenziali del paese che domina internet e che si è rivelato controllare pesantemente tutti i tipi di attività digitale in giro per il mondo ed indebolire i sistemi di criptaggio, vogliano che si agisca ulteriormente in questo campo. Entrambi rifiutano anche potenziali contestazioni basate sulla libertà di parola. Ciò che tuttavia non sembrano realizzare è che Daesh e i suoi sostenitori affrontano già difficoltà maggiori rispetto a chiunque altro nell’ultizzare le piattaforme base per i social media. Twitter annulla costantemente gli account di sostenitori e follower di Daesh, così come i loro contenuti. Youtube fa costantemente la stessa cosa. Facebook ha quasi zero contenuti su Daesh grazie a tutti i controlli esistenti. Questo significa che i membri e i sostenitori di Daesh sono spinti ad utilizzare siti più piccoli, che pochi utenti normali conoscono. Ogni tanto mi imbatto in un sito wordpress con contenuti di Daesh, anche se non spesso, ma la maggior parte del materiale di Daesh che ho visto si trova su justpaste.it. L’infrastruttura corporativa di internet sta cominciando a bloccarli fuori. In aggiunta, il collettivo di hacker Anonymous ha annunciato l’operazione #OPISIS, rivolta agli account twitter dei membri di Daesh. In risposta, Daesh ha rilasciato una dichiarazione ai suoi componenti e sostenitori su come proteggersi dall’essere hackerati. Il gruppo ha anche i propri hacker che attaccano con apparente successo i siti internet del governo USA e altri.

Se Daesh deve affrontare una significativa resistenza da attori come Twitter, Youtube, e Facebook, il suo approccio ad internet nei territori che controlla dimostra un altro aspetto della difficile relazione del gruppo con la rete, e con le tecnologie digitali più ampiamente. Il gruppo è stato bersagliato pesantemente nei primi anni dalla sua formazione da parte della tecnologia di sorveglianza americana, e ha perso molti membri proprio perché i loro telefoni e le comunicazioni digitali erano intercettati e rintracciati.
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Il gruppo ha pubblicato dunque un avviso che indica che qualsiasi dispositivo con GPS deve avere la funzionalità di geolocalizzazione spenta completamente e che qualsiasi prodotto Apple è completamente vietato perché considerato inaffidabile. Al di là di questo, Daesh ha avuto problemi con le infrastrutture e ha affrontato restrizioni severe nell’accesso ad internet già all’interno del territorio che controlla. Una recente analisi del New York Times sulla vita delle donne a Raqqa ha discusso di come internet sia utilizzato solo per le questioni di maggiore importanza, come la produzione mediatica e per attirare nuove reclute. All’inizio del 2014 gli internet café hanno chiuso per la loro impossiblità di utilizzare reti wireless, apparentemente a causa dell’interruzione delle linee radio da parte del regime siriano. Secondo la stessa fonte, alcuni sono riusciti ad utilizzare connessioni satellitari per stabilire connessioni negli internet café, ma rimanevano comunque facilmente rintracciabili.

Daesh ha rilasciato questo ordine nel Maggio 2015 chiedendo quattro tipi di identificazione a ogni utente dell’internet café. Così, nonostante forze globali più ampie possano osservare, grazie agli strumenti che sappiamo essere in loro possesso, molto di ciò che l’utente in questione fa in rete, Daesh vuole sapere piuttosto chi esattamente utilizza internet per i suoi fini. Un’investigazione condotta dal Washington Post sulla vita nello “Stato Islamico” dice che parlare a chi sta all’esterno delle condizioni di vita all’interno del territorio è un’azione molto rischiosa, che si cerca di intercettare e che spinge infatti i leader di Daesh a tenere sotto stretta osservazione la rete. Un caso esemplare è il sito “Raqqa is Being Slaughtered Silently”, che ha continuato a pubblicare materiale contrario a Daesh dall’interno del territorio sotto il suo controllo mentre, allo stesso tempo, veniva attaccato. Due dei suoi attivisti sono stati trovati e uccisi nel Sud della Turchia da agenti di Daesh.

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Questo sistema di controllo su internet è un’estensione del tentativo più ampio di instaurare un’autorità totalitaria nel territorio di Daesh. Non è ammmessa qualsiasi forma mediatica indipendente. C’è una sola stazione radio, condotta da un gruppo che emette in diverse lingue, ma al di là di questo non c’è spazio alcuno per la società civile. Alla luce di questo, è inevitabile che coloro a cui tutto questo ha dato più fastidio e che hanno voluto insistere ed esprimersi, come il sopracitato sito su Raqqa, si siano rivolti alla rete. È importante precisare comunque, che questo controllo non si estende a tutti i cittadini. Si dice che i combattenti stranieri e le loro mogli detengano una posizione privilegiata all’interno del territorio di Daesh, nel senso che possono continuare ad usufruire di determinate cose, come l’accesso ad internet, che sono severamente vietate a tutti gli altri. Tutto questo è in linea con il quadro più ampio: internet è fondamentale per l’esistenza di Daesh, ma è anche un grande rischio e una grande responsabilità, che è stata usata ampiamente contro Daesh stesso. Non posso essere d’accordo con Trump o con Clinton su questa questione, non credo ci siano provvedimenti più grandi da attuare che non siano già stati intrapresi.

Scrivo queste parole con molta preoccupazione. Non perché io pensi che Clinton e Trump potrebbero avere ragione, ma perché tutto questo è dimostrazione anche di come internet possa essere usato contro chiunque al giorno d’oggi. In questo caso, penso che il target, Daesh, sia legittimo… ma nel futuro? E se le stesse capacità direzionate oggi nel tenere i Dawaish (i sostenitori di Daesh) fuori dai siti internet che hanno una struttura corporativa fossero utilizzate contro altri, che non siano dei terribili assassini? E se i governi usassero queste tecnologie di sorveglianza contro i dissidenti? Abbiamo visto il modo in cui la polizia ha trattato gli attivisti in occasione del COP21 in Francia, uno stato che non viene considerato solitamente una dittatura brutale. Abbiamo avuto anche prova di che aspetto potrebbe avere un futuro del genere in Bahrain, ed è un’immagine infausta.

N.B. I documenti di Daesh utilizzati in questo articolo, provengono da questo sito, diretto da Aymenn Jawwad-Tamimi, un ricercatore ed accademico che studia i gruppi jihadisti. La traduzione inglese dei docmenti originariamente arabi è stata fatta dal signor Tamimi.

Daesh in the Digital Realm v2.0

Not long ago I wrote a piece that explored various facets of how Daesh, the organization, relates to the internet most broadly. The piece was timely and the debates it addressed have not died down. If anything, they’ve intensified. I also highlighted in that piece the ways that Daesh was controlling access to the internet inside its own territories, struggling to balance its need to disseminate propaganda and recruit new members while also heavily controlling media inside the caliphate. Since its publication, a number of new facets of this topic have arisen that are worth exploring. They add even more nuance to the complex wrestling for control going on in the digital realm between various governments, Daesh, Anonymous, and social media corporations.

First, the ongoing attempts to get Daesh off the corporate internet continue. The organization has become very fond of an encrypted messaging app called Telegram. Right after the attacks in Paris, Telegram shut down 78 ‘channels’ on its platform that were being used by Daesh. These channels were in any one of twelve different languages and one channel, Nasheer, had 18,000 followers.  This has helped add fuel to the fire of the ongoing debate over encryption, which I will return to below.

In addition to the frenzy of Daesh activity on Telegram, the organization has created its own emoji. As one might expect, they’re gruesome and represent the violent scenes Daesh has become infamous for in its propaganda. The emojis also depict the organization’s flag, various weapons, and execution scenes. In short order, other organizations and militias stole Daesh’s idea and began to make their own emojis. Just what the internet needed, right?

Second, a new dimension arose in the ongoing struggle which finds Daesh and corporate social media pages at its center. We’ve already seen the NSA force social media companies and email providers to hand over user data. We’ve seen hackers from the Anonymous hacker collective target both Daesh and major US government officials. Far from just disseminating propaganda, Daesh has hacked US government sites too. Now, a widow of an American man killed in Jordan is suing Twitter for failing to stop the dissemination of Daesh propaganda on its site. Her lawsuit is based on the claim that Twitter “knowingly permitted” Daesh members to use its site to spread violent propaganda. “Without Twitter, the explosive growth of ISIS over the last few years into the most feared terrorist group in the world would not have been possible,” the woman alleges. As I wrote in the first post, Twitter has actually been making constant efforts to remove Daeshi profiles, and my own experiences trying to follow some of these accounts confirm this. They’re constantly disappearing. Late last year, Daesh did succeed in hacking thousands of twitter accounts in order to disseminate its own propaganda. Similarly, the appearance of a profile on Linkedin of a young teacher who lives inside the caliphate surprised many, but it too was taken down very quickly.

Despite the fleeting nature of Daesh’s presence on social media, it is a powerful recruiting tool. This in-depth piece debates a number of different approaches to combatting the propaganda, but one German official complained about the failure of various efforts: “We are like boxers punching in the dark.” The White House convened a meeting recently to address the question of what to do about Daesh on the internet. Based on a copy of the meeting’s agenda published by the Guardian, it was set to focus heavily on social media, with the US government pushing companies like Facebook and Twitter to do more to keep Daesh propaganda off their platforms. The US will begin trying to put together more localized anti-terror messages rather than the videos it was previously making. That comes after cycling through three different leaders of the unit coordinating these efforts in a year. The Anonymous hacker collective, for its part, has released a how-to guide for beginners as part of its #OpParis who want to challenge Daesh online.

Finally, governments have been taking very shortsighted measures against end-to-end encryption in the hopes of accessing encrypted messages. Their bumbling strategies to deal with the Daesh militarily are sadly recreated in the digital realm. Encryption has become the center of these ham-fisted attempts to thwart terrorist planning and propaganda online. Yet encryption has been a hot issue for some time, especially since  Edward Snowden exposed that the US government had deliberately weakened encryption protocols. Cryptography experts continue to insist there is no way to insert a backdoor without fundamentally weakening the encryption. Apple, Google, Microsoft and dozens of others all signed a statement saying the same thing, that weakening encryption is counterproductive. The EFF has been steadfastly against weakening encryption as well. It is one of the best means of defense available in the digital realm, and there’s no way to preserve its strength for some while leaving others exposed. It is the only reason e-commerce is possible in its current form. Then again, even with the capabilities the US government has, it’s not clear that mass surveillance has actually stopped any attacks. The US government’s focus on encryption or surveillance at the center of the debate about Daesh is misleading and gets no closer to defeating the organization on the ground. Daesh did not emerge nor does it survive because of encryption, and the focus must remain on its “caliphate”.

nb- This piece was republished at Informed Comment. Thanks Juan!